Quante sere...

Chissà se le ricordi tutte, quelle sere, anche tu. Io le viaggiavo, con le ruote
dell'auto, con la fantasia, consapevole del momento, di ciò che mi
circondava e di ciò che stava succedendo dentro di me; certe volte,
sicuramente, stordito ed assopito dalla tua presenza, dai tuoi
movimenti, dal disegno della tua volontà del fare, del dire... dal tuo
profumo, l'oppio dei miei ricordi ... mi ci hai intasato l'anima, non solo le narici... le mani sul volante, gli occhi sulla
strada, chilometri divorati dagli pneumatici ingordi, che
diffondevano odore di gomma e asfalto nell'auto dal finestrino aperto
nelle sere d'estate. Quel crepuscolo che aspettavamo diventare notte, in
quegli istanti d'argento rosso e viola ... come una colata di metallo
fuso che si raffredda in cielo e diventa nero, raffreddandosi... e poi il paese
con l'abito da sera, con le vene illuminate di luce arrugginita che
sembrava percepire la nostra presenza ... quella sensazione di festa che induceva
l'aria a imbellettarsi coi profumi arcani delle notti fiorite, dei
panni ancora stesi, del fieno prono nei campi fumosi di nebbia leggera,
in omaggio a te e ai tuoi passi leggeri, in sincrono con il ticchettio
dell'orologio del mio universo, col battito del mio cuore, col ritmo
della mia vita ... certe volte l'avere la tua mano nella mia era così
necessario che non ne avevo la benché minima percezione ... era come il non
sentir battere il cuore o non accorgersi del battere le ciglia o di
respirare ... era dovuto, necessario, indispensabile. La tua mano era un
unico prolungamento del tuo sguardo e, in tante di quelle sere, diventavi l'inchiostro dal mio pennino, mentre
ti adagiavo sul quel pentagramma che, piano e impercettibilmente, già
ingialliva. Eri il mio sogno, il mio ieri ... e sarai per sempre nel mio domani.